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FILOTTETE 111


La figura che ha meno rilievo, è quella di Ulisse. O, per meglio dire, è rappresentata con tratti troppo generici, e risulta troppo simile a tutti gli altri Ulissi frodolenti della commedia attica. I suoi sarcasmi contro il misero Filottete sono quanto si può immaginare di piú odioso. Del resto, qualche tratto personale non manca neppure qui, come nella osservazione, verissima, implicita nelle sue parole, che da giovani si crede all’onestà e alla lealtà degli uomini; e poi, a mano a mano, la vita insegna a diffidare di tutto e di tutti, e a non credere neanche ai piú santi princípii.

Le due grandi figure sono invece Neottolemo e Filottete.

Neottolemo è d’animo generoso e leale. E, quindi, la via subdola che Ulisse ha scelto per trionfare di Filottete, gli repugna. E sin da principio oppone obiezioni e recalcitra:

«Le cose che m’indignano a udirle, figlio di Laerte, aborrisco poi compierle. Non è mia indole ricorrere a male arti: né mia, né di chi mi diede la vita. Quest’uomo son pronto a prenderlo con la forza, ma non già con la frode. E preferisco operare onestamente e non riuscire, anziché conseguire l’intento con male azioni».

L’abilissimo Ulisse adopera tutta la sua sottigliezza per convincerlo. E il giovinetto, sebbene impari a questa lotta, seguita ad interpungere il suo discorso di obiezioni ed opposizioni.

— Imponimi qualsiasi altro obbligo, e non la menzogna!

— Perché non tentare di convincerlo, invece d’ingannarlo?

— Non ti sembra turpissima cosa la menzogna?

Ma la sua inesperienza dialettica deve infine cedere alle argomentazioni dello scaltrissimo tentatore; sicché s’induce all’azione vergognosa, con parole che dimostrano però chiaro come nel profondo dell’animo egli non sia né convinto, né tranquillo: «E sia: bandirò ogni pudore, e farò quello che dici».