Pagina:Tragedie di Sofocle (Romagnoli) I.djvu/137

110 SOFOCLE


E, anche qui, la mira di Sofocle, o, almeno, la mira principale, non fu tanto quella di evitare la inverisimiglianza, quanto quella di liberare da ogni impaccio, anzi di intensificare, il tèma della vita solitaria: il tèma dell’uomo abbandonato alla mercè degli elementi e delle fiere, e costretto, a provvedere, senza alcun aiuto dei suoi simili, alla propria salvezza e al proprio sostentamento: il tèma di Robinson, che sarà sempre ripreso volentieri dagli uomini, perché rievoca nelle piú profonde latebre della loro coscienza il ricordo terribile e profondamente poetico dell’antichissima vita della stirpe, quando l’uomo, in lotta perpetua col mondo indifferente od ostile che lo circondava, moveva i primi passi su l’ardua lunghissima via dell’incivilimento.

E straordinaria è la maestria onde Sofocle svolge questo tèma, in maniera appropriata all’arte drammatica, senza affaticar troppo gli spettatori, distribuendone le variazioni in diverse parti della tragedia, e presentandole, ora in forma puramente lirica, ora piú volgente verso il dramma, e affidandole, ora a Filottete, ed ora al Coro. Proposto appunto dal Coro, nel primo canto intorno all'ara, permèa tutto il dramma, sino all’ultimo addio di Filottete, in cui è rievocata, con pochi felicissimi tratti, la selvaggia e pittoresca vita dell’isola.

Ché anche il paesaggio è, ad ogni passo, suggerito alla fantasia degli spettatori. Tutto ciò che in un dramma moderno sarebbe relegato nelle didascalie e affidato alla genialità d’un allestitore scenico, qui è consegnato alla parola. Accenni, tocchi, brevi figurazioni, integrano via via la scena, che dovè essere, lo ricaviamo appunto dalla frequenza di questi accenni di paesaggio, breve e sintetica. E quasi direi che se non ci fosse la sostituirebbero.

Su questo sfondo impareggiabile, si muovono i personaggi, che per evidenza superano forse tutti gli altri personaggi di Sofocle.