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ELENA 103


l’esperienza specifica, e cede la parola a Menelao, il quale si comporta con molta abilità, parlando prima di ciò che non può dar sospetto — vittime, letto, armi di bronzo, frutta — poi, quasi fosse un semplice accessorio, di quello che gli sta veramente a cuore: della nave che insieme con tutta quella roba deve portare a salvazione lui e la sposa.

Teoclimeno abbocca, e concede tutto. E noi crediamo infine salvi i due sposi, massime quando, nella scena che segue, sappiamo che Teonoe s’è decisamente schierata per essi, e ha detto al fratello che Menelao è morto.

Se non che, Teoclimeno, uscendo a capo dei servi che portano tutto l’occorrente pel sacrificio, manifesta il timore che Elena, per l’ambascia della perdita, covi il disegno di gittarsi in mare; e insiste perché rimanga. Dette da un innamorato, queste parole fanno temere un nuovo intralcio. Non si verifica: Teoclimeno, anche una volta, cede.

Gli sposi partono. E poco dopo giunge il messo a narrare la loro fuga. E non dobbiamo piú temere per loro, perché Teoclimeno sembra convinto della inutilità d’un inseguimento. Ma il poeta cerca di farci ancor trepidare per Teonoe. Il fratello vuole ucciderla, il coro tenta invano di richiamarlo a mitezza, a indulgenza. E stiamo per piangere sulla sorte della fanciulla, quando, alti nell’ètere, appaiono i Dioscuri.

E questa volta è la buona. Teonoe è salva anch’essa. Teoclimeno si calma, Elena e Menelao si allontanano dall’Egitto col vento in poppa. Anzi, per dolcificazione finale, sappiamo che Elena sarà fatta Diva, e che Menelao andrà nell’isola dei Beati.

A guardar bene, il mezzo e la risorsa di sviluppo è sempre la sospensione dell’esito. Uno, ma certo il piú efficace; ed egregiamente trattato: chi s’interessasse ai personaggi, dovrebbe rimanere durante tutto il dramma in continua trepidazione.