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alla sua sposa, troppo sicuro d’aver la vera Elena entro la sua tenda, sta per abbandonarla. E si rimane in questo dubbio, sinché non giunge il messo ad annunciare la scomparsa dell’Elena fantasma.

Ma siamo ancora in alto mare. Tutto dipende, come dice Elena, dalla sorella del re, la veggente Teonoe. Ed ecco, questa esce. E sta lungamente fra due, se debba o non debba denunciare l’arrivo di Menelao. Decide pel sí:

Al fratel mio chi annuncerà che questi
è qui? Val meglio mettersi al sicuro.

Sembrano perduti. Se non che, entrambi rivolgono alla vergine profetica lunghe ardenti preghiere. E noi rimaniamo nuovamente perplessi. Si commoverà? Non si commoverà?

Si commuove. — Eccoli salvi — pensiamo. Ma solo pel momento. Perché Teonoe rinuncia a denunciarli, ma non prende parte attiva alla loro salvezza, e li abbandona alle loro risorse.

                                                  Or voi
trovate dunque alcuno scampo, ed io
lontana andrò, muta sarò.

Eccoci, dunque, ancóra nell’incertezza. Ma non è certo uno stratagemma, una mechané, che possa dar da pensare ai personaggi d’Euripide. Quello che escogita Elena, per quanto Menelao lo battezzi un vecchiume1, è veramente ingegnoso. Ma abboccherà Teoclimeno?

E Menelao ed Elena svolgono la loro trama da maestri. Elena prima esprime il desiderio generico di dar tumulo allo sposo. Poi, giunta al punto di precisare, dichiara che le manca

  1. Παλαιότης γὰρ τῷ λόγῳ γ´ ἔνεστί τις. Probabilmente in queste parole è implicita una frecciata contro qualche collega.