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ELENA 97


l’insipidità, e siano pure addobbate di alte frasi e di sentimenti solenni. Priva di qualsiasi rilievo è costantemente questa Elena. E sfumerebbe, essa vero fantasma, dal nostro ricordo, se non ve la mantenesse, alla meglio, la singolarità della sua situazione.

Un po’ piú caratterizzalo appare Menelao. Ma non già in virtú dell’eroismo onde ha voluto circonfonderlo il poeta, e che sfuma anch’esso nel generico (quel tanto di fanfaronismo che lo distingue è comune a molti eroi d’Euripide); bensí per effetto di due tratti esterni e negativi.

Il primo è la comica facilità con cui presta fede al prodigio del fantasma di Elena. A proposito dei razionalisti personaggi di Euripide si può sillogizzare. Ora, l’annunzio del messo che la Elena A è scomparsa, dovrebbe insospettire un uomo provvisto di raziocinio; perché la prova provata del fatto inverisimile potrebbe essere offerta solo dal confronto fra le due Elene; e il confronto è reso impossibile dalla scomparsa d’una di esse. Invece, Menelao accetta la scomparsa come prova esauriente; e non tanto riesce comica la sua buona fede, quanto le parole con cui esprime la sua convinzione:

Dunque, è cosí: collimano i discorsi:
il vero essa m’ ha detto.

E non meno piacevoli sono quelle con cui prende atto del nuovo stato di cose:

E io che te credea venuta ai tristi
spalti di Troia, e alla città dell’Ida!
Ma dalla casa mia come partisti?

Ma non per nulla è personaggio euripideo. Mentre accetta con tanta buona grazia il punto piú difficile, sfodera il suo scetticismo riguardo alla condotta che Elena può aver tenuta con Teoclimeno.

Euripide - Tragedie, VII - 7