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ANDROMACA 5


Tu, basta che alcunché t’irriti, Sparta
è la gran cosa, e Sciro è men che nulla,
e ricca sei fra poverelli, e piú
d’Achille vale Menelao. Per questo
t’odia lo sposo tuo.

La sua perfidia contro Andromaca, e, piú, contro l’innocente bambino, è addirittura insopportabile; e peggiore il cinismo con cui enuncia le sue infamie.

È intanto, è cosí nulla, che, di per sé, neppure avrebbe concepito questo suo grande odio. Le compagne, le amiche la sobillarono coi loro tristi consigli: cosí essa dice ad Oreste.

E s’intende bene che, non essendo spontaneo, bensí d'accatto, questo suo atteggiamento tramuta alla prima occasione.

Dopo l’arrivo di Peleo, quando la preda le sfugge, ed ella rimane col terrore dell’arrivo di Neottolemo, quella sua spietata decisione cade come una larva, e la sdegnosa regina appare convertita in misera querula donnetta.

È, insomma, tutta incertezza, frivolità, vanità. Una farfalla. La prima, in letteratura, osservata e resa con tanta precisione e felicità di particolari. Andromaca coglie il punto capitale della sua psicologia, quando la chiama, e non per vezzo «ragazza» (192). E: «Tu sei giovinetta», insiste poco dopo. E dice a Menelao:

                              Tu sei dappoco,
che per le ciance d’una figlia ch’à
senno di bimba, tal furore sbuffi.

Questo è il nodo. Ermione è rimasta una bambina. In lei vediamo un tipico esempio d’arresto di sviluppo. E questo, mentre la inquadra sicuramente nella vita reale, spiega in qualche modo e rende un po’ meno insopportabile, dal lato scenico, la sua odiosità.