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Saltando la prima corda, la famosa aggiunta (proslambanomène), abbiamo, dal si al si il tono missolidio, dal do al do il lidio, dal re al re il frigio, dal mi al mi il dorico, dal fa al fa l’ipolidio, dal sol al sol l’ipofrigio, dal la al la l’ipodorico.

Come si vede, dunque, i modi erano caratterizzati dalla diversa posizione che in ciascuno di essi occupavano i semitoni rispetto ai toni.

Ed anche si vede assai chiaro che questa costituzione modale presenta carattere artificiale e costruito. Essa codifica, in qualche modo, l’innumerevole e varia serie di canti che affluivano in Grecia da tutte le parti del mondo antico. I canti delle varie regioni erano costruiti su gamme diverse; e la diversità risultava appunto dal diverso rapporto fra gli intervalli. E cosí, a un dipresso, si credé di poterli inquadrare, geometricamente, nella lira accordata alla dorica. S’intende poi, che, disciplinata cosí la materia, i compositori si saranno attenuti a quei moduli teorici. Sicché la stessa cetra che avrebbe potuto riprodurre solo approssimativamente i canti genuini delle varie regioni, poteva perfettamente riprodurre una melodia in qualsiasi tòno composta da un musicista d’arte.

Fin qui, almeno oggi, tutti siamo, credo, d’accordo. Ora incomincia invece, secondo me, una grave confusione.

Dai trattatisti antichi, e, massime, da Cleònide, il quale deriva piú direttamente da Aristosseno, vediamo che accanto a questi sette modi diatonici, la teoria ne stabiliva sette cromatici e sette enarmonici. Facilissimo è ritrovarli. Si prenda la cetra accordata cromaticamente,

    1926, Nel Regno d’Orfeo del 1920; e il mio scritto sui modi greci usciva nella Rivista musicale di Bocca sin dal 1919, Altrettanto vero che dei miei scritti non hanno mostrato di accorgersi né il Reinach né i vari recensori italiani del suo chiaro ed utile libretto.