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ELETTRA 17


Un’altra novità appare realizzata nell'Elettra col taglio generale del dramma. Infatti, l’uccisione d’Egisto avviene a metà: sicché, con l’arrivo di Clitemnestra, si inizia quasi un secondo atto, il cui principio è segnato da un lungo saluto anapestico del coro. Cosí, il duplice omicidio è sfruttato per la costruzione di due catastrofi, ben distinte, conclusa la prima dal lungo discorso di Elettra sul cadavere di Egisto, l’altra dal mirabile terzetto fra i due fratelli ed il coro.

L’apparizione, cosí pittoresca, del vecchio aio d’Oreste, le sue parole, cosí semplici e commoventi, son guastate dalla scena che segue, nella quale, per mezzo delle risposte di Elettra al buon vecchio, si effettua la critica ai mezzi escogitati da Eschilo per documentare ad Elettra la reale essenza di Oreste: il colore delle chiome, l’orma del piede, il tessuto del peplo.

Il Parmentier, giudice pieno di finezza e di gusto, difende Euripide. «In genere — egli dice (op. cit., 184) — i moderni hanno commesso l’errore di prender troppo sul serio la caricatura d’Euripide, considerandola come vera critica drammatica. In verità questo intermezzo non è altro se non una innocua parodia; e la parodia, per sua propria essenza, è aliena dalla riflessione seria. Bastava ad Euripide che la sua si presentasse con una apparenza momentanea di verisimiglianza, e producesse un certo effetto di sorpresa e di buon senso. Il suo giuoco consisteva nel divertire il pubblico, sconcertando per un istante la sua ammirazione verso un capolavoro che non aveva mai analizzato».

Sta benissimo. Ma le medesime determinazioni di questa difesa, facilmente si ritorcono in accuse. Euripide, dunque,

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