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in funzione lirica, bensí in funzione drammatica, recando notizie di avvenimenti futuri.

O figlia d’Agamènnone,
al tuo tugurio questa schiera d’amiche or viene.
Un uomo giunse, un uomo solito il latte a mungere
sui monti di Micene:
reca l’annunzio che ad offrire vittime
s’appresta la città,
come tre giorni volgano;
e al tempio d’Era ogni fanciulla andrà.

Né qui segue, come nello Ione, una seconda pàrodos. Qui una parte che la tradizione riserbava al coro e ad un ufficio lirico, è usurpata da un personaggio; e il coro interviene in funzione drammatica. L’ottica è addirittura capovolta: alla tragedia è subentrato il melodramma.

Ed anche qui, come in altri drammi, si presenta alla nostra sensibilità il problema come in alcuni punti, per esempio all'uscita di Oreste, dopo lo scempio materno, il canto potesse accrescere l’intensità passionale del dramma.

Ma in arte non si può dar giudizio se non sull’opera compiuta. E anche qui, per decidere, dovremmo possedere la musica, e sapere con precisione come fu eseguita.

E neppure dobbiamo dimenticare il coro di antiche testimonianze, che esaltano, in genere, il potere della musica. E, venendo specialmente a questa Elettra, va ricordato un aneddoto riferito da Plutarco nella vita di Lisandro (XV). Nel banchetto di Lisandro e dei generali, un musicista di Focide cantò il brano della pàrodos, nel quale le donne del coro compiangono Elettra. E i vincitori, commossi dal confronto fra la decadenza della figlia d’Agamènnone e quella d’Atene, rinunciarono al proposito di distruggere la città.