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E, senza paradosso, mi sembra, se mai, qui, come in altri luoghi spesso addotti come indici di spirito democratico, che Euripide si dimostri piuttosto aristocratico. Ricordiamo che Auturgo proclama d’esser nato

di padri micenèi, di stirpe illustri,
ma di sostanze poveretti.

A guardar bene, queste parole mi sembrano ispirate alla medesima tendenza per la quale, in tutti i racconti popolari, l’eroe che da principio si presenta in vesti di povero e di plebeo, alla fine, quando, novantanove su cento, sposa una reginetta, si scopre che anche nelle sue vene scorre un sangue piú azzurro dell’indaco. Non dunque democrazia, bensí omaggio reso dalla democrazia ad una aristocrazia contemplata con un po’ d’invidia e con molta ammirazione. Diciamo la parola: con spirito borghese.

Di queste figure medie e comicizzanti si avevano già esempii in Eschilo (Cilissa, la nutrice de Le Coefore) e in Sofocle (guardiano dell’Antigone). Ma sporadiche, e non mai portate al primo piano; né la loro psicologia stingeva su quella degli altri personaggi. Invece qui nell’Oreste ce ne son due, ed una di esse ha quasi le proporzioni d’un protagonista; e tutti gli altri personaggi presentano con loro un’aria di famiglia.

Se poi sullo schermo della nostra fantasia tentiamo un confronto fra i personaggi che dicemmo medii o borghesi, e gli altri, puramente tragici, questi ci parranno simili a marmorei candidi altorilievi, e quelli a figure di intensa e minuta policromia, minuziosamente rifinite in ogni particolare. Deliziosi fittili alessandrini di fronte alle statue del secolo V. Ed hanno