Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) VI.djvu/137

134 EURIPIDE

dicono tutti. Ma il Christ si dimentica poi di rilevare i pregi, che sono molti, e, vedemmo, eccelsi. E poi, anche i difetti, cosí isolati ed allineati, sembrano assai piú gravi e virulenti di quando si osservano alla luce speciale che si deriva dallo studio di tutta la singolare arte d’Euripide.

E sussiste ineliminabile il fatto che dall'antichità sino ai nostri giorni l’Oreste ha sempre suscitato enormemente l'interesse degli spettatori e dei lettori. Ed è un po’ delle opere d’arte come delle persone: quando richiamano tanto l'interesse, qualche buona qualità devono possederla, anche se in esse prevalgono, per quantità, il brutto ed il male.

E infatti, nell’Oreste si trovano accomunati, fianco a fianco, in modo e in misura addirittura eccezionali, i difetti ed i pregi del poeta, la cui figura, nel complesso, emerge qui completa come forse da nessun altro dramma.

E poi, quale che possa essere la nostra impressione soggettiva, risulta ben chiaro che Euripide fu innamorato di questo suo dramma. Il suo vivo interesse palpita e vibra palesemente in tutte le scene, tanto nelle ottime, quanto in quelle dichiarate pessime. Ne deriva quel continuo calore, quella fosforescenza che distingue le opere realmente ispirate da quelle elaborate col freddo artificio.

E lo so bene, il difetto principale del dramma non è lieve. Sul tallo vigoroso della primitiva concezione, psicologica e tragica, gitta il suo seme la «macchina», che da quello succhia tutte le linfe, per maturarne foglie fiori e frutti perfettamente eterogenei. Lo so bene, nel suo complesso l’Oreste ha il carattere delle piante parassitarie.

Ma poi l’orobanche apre, in cima ai suoi steli, meravigliosi grappoli di fiori neve e ametista. E tutti siamo costretti ad ammirarli, anche se sappiamo che i succhi che li nutriscono furono sottratti a stilla a stilla dai calami dell’esausta veccia.