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132 EURIPIDE

Ché se qualcuno è dagli Dei colpito
in un sol punto di sua sorte, è grave,
ma sopportabil male. Invece, a molti
mali soggetta io sono: il primo è ch’io
non ho fallito, e trista è la mia fama;
e questo è mal del vero mal piú grave,
chi senza meritarlo un mal sopporta.
Poi, dalla patria a barbari costumi
qui mi trassero i Numi; e senza amici
schiava mi trovo, eppur nacqui da liberi:
ché tranne un sol, son tutti schiavi i barbari.
E l’àncora che sola il mio destino
reggeva ancora, la speranza che
ritornasse il mio sposo, e mi strappasse
da questi mali, ora è perduta: è morto
lo sposo mio, lo sposo non è piú:
morta è la madre: ed io fui l’assassina:
si dice a torto, eppur si dice; e quella
ch’era ornamento della casa e mio,
la mia figliuola, incanutisce, priva
di nozze, ancora; e son morti i Dïoscuri,
ch’ebber nome da Giove: ogni sciagura
su me s’abbatte, e i casi, e non già l’opere
mie, m’han ridotta a morte. E questa è l’ultima:
ch’or, se in patria giungessi, io dalla casa
sarei scacciata, perché credon ch’Elena
con Menelao sia morta in Ilio. Se
fosse vivo lo sposo, riconoscermi
facil sarebbe, grazie ai contrassegni
che soli noi conoscevamo. Adesso
egli è perduto, e ciò non è possibile.
A che piú vivo? A qual sorte mi serbo?
Le nozze eleggerò che ai mali un termine