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un semicoro, o magari la sola corifea. Certo, l’intero coro intonava la seconda coppia di strofe, nella quale si effettua la perorazione di tutto questo «pezzo», che, con taglio decisamente musicale, si estende per 130 versi, dal 99 al 229.

E, preannunciato da un brano ancora anapestico, e nella misura canonica della tetrapodia (230-234), ecco Taltibio. E segue tra lui ed Ecuba un duetto, nel quale la sua parte è costantemente in trimetri giambici, quella d’Ecuba in metri lirici, conclusi con una monodia, una vera aria distesa.

Poche battute ancora, alle quali si associa anche il Coro, e giunge Cassandra, che intona un’altra monodia strofica, del piú alto lirismo (307-341). Alla quale segue un brano in trimetri giambici, che però si conclude con 18 tetrametri trocaici, che quasi certamente salivano di nuovo ad una declamazione quasi cantata, probabilmente con l’accompagnamento dei flauti.

Segue un intermezzo corale (511-571 ). E poi, con l’arrivo d’Andromaca, ecco un altro duetto schiettamente lirico, cantato (dal 572 al 603; e gli ultimi versi — 590-603 — quasi tutti esametri dattilici).

Dopo la scena d’Andromaca, un nuovo intermezzo corale di 64 versi. La scena fra Menelao, Elena ed Ecuba è in trimetri, tutta semplicemente recitata (né sembra che il contenuto consentisse lirismi). Poi un nuoVO intermezzo corale (1060-1122). E nell’ultimo quadro, un primo brano lirico, in forma di kommós (brano lirico fra gli attori e il Coro), dal 1216 al 1251, e un altro, che conclude il dramma, dal 1287 al 1332. E, a guardar bene, tutto il brano che va dal 1216 al 1332 può esser considerato come un insieme lirico, nel quale il brano in trimetri 1260-1286 rimane come conglobato.

E se vogliamo fare un po’ di riassunto numerico, vediamo che sui 1332 versi de Le Tròadi, ben 546, cioè circa la metà, sono, in una maniera o nell’altra, musicati. E di questi