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88 EURIPIDE

          Oh, qual bagliore entro la tenda brilla
          di fiaccole? Che fan mai le Troiane?
          ardono forse gli àditi?

Andromaca appare, stretto il pargolo fra le braccia, sovra un carro dove sono ammucchiate le spoglie dei Frigi, e le armi di Ettore, fra le quali si distingue il grande scudo. Simbolo, quasi, e sintesi del funesto epilogo della guerra di Troia.

Ed anche piú impressionante, sebbene alla semplice lettura possa sfuggire, dové essere l’uscita di Elena. Essa, come si rileva dalle parole di Ecuba, pur nel momento fatale che deve credere della sua morte, s’è fatta bella. Tratto di fine psicologia, anche se in mezzo ad un clima cosí tragico introduce un’aura assai meno austera. E cosí bella e agghindata appare fra i rozzi soldati che la trascinano innanzi a Menelao. E la sua figura d’incomparabile bellezza, che su tanta strage, su tanta squallida miseria, su tanto strazio disumano, si libra raggiante, intatta, quasi intangibile, come una iridescenza che il sole accenda nelle esalazioni d’un’acqua putre, se da un lato colpisce direttamente e assolutamente la sensibilità estetica dello spettatore, dall’altro s’impone al suo spirito con l’arcana suasione d’un simbolo.

Ma specialmente meraviglioso è il finale. Mentre i soldati portano via il corpicciuolo straziato d’Astianatte, su le mura di Troia cominciano a lingueggiare alte fiamme. Ma è appena il principio dell’incendo. Entra Taltibio, e lancia ai soldati l’ordine che corrano tutti a bruciare la misera città. E mentre quelli empiono la scena, che cosí arde d’una moltitudine di fiaccole, ed Ecuba si avventa per morire tra le fiamme, ed è ricondotta a forza fra la turba delle schiave, ed esala il suo strazio in una disperata nenia riecheggiata dal coro, sullo sfondo si svolge, per varie fasi chiaramente significate dalle parole del contesto, l’incendio della città. Ardono le case,