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e non minore è quello ch’ora soffrono,
ed altro ancor ne soffriranno.

Ne Le Tròadi è dunque evidente la tendenza, che domina tutta l’ultima parte dell’attività artistica di Euripide, di tornare all’antico. Tendenza che culmina ne Le Baccanti, dramma che in certo senso si potrebbe quasi dire preeschileo.

Qui siamo invece sotto il pieno influsso del Titano d’Eleusi. E poiché questo punto sembra incontrovertibile, non parrà né chimerico né troppo ardito procedere a qualche ulteriore induzione.

Noi sappiamo che le trilogie d’Eschilo erano composte di tre momenti d’una medesima azione, disposti in modo da ricavarne un significato, o, se si vuole, una «morale». In séguito, invece, con Sofocle, questo concetto fu abbandonato, e la trilogia presentata al concorso tragico, che prescriveva appunto due drammi tragici ed uno satiresco, risultò dall’unione di tre drammi di soggetto disparato, qualche volta disparatissimo.

La trilogia, invece, alla quale appartennero Le Tròadi, ebbe carattere organico. I due drammi che le precedevano, l’Alessandro e il Palamede, erano anch’essi di soggetto troiano E possiamo, piú o meno, riordirne lo schema.

alessandro. Quando Ecuba era incinta di Alessandro (Paride), sognò di partorire una fiaccola. Dissero gl’indovini che il nascituro sarebbe stato causa dell’incendio di Troia: onde il padre Priamo lo affidò ad un vecchio, perché l’uccidesse. Ma il vecchio n’ebbe pietà, e l’espose sul monte Ida, dove un bifolco lo raccolse e lo allevò. Quando fu cresciuto, ebbe occasione di andare a Troia; e qui, in una gara ginnica, trionfò, incognito, sui due fratelli Ettore e Deifobo. Deifobo concepí il disegno di ucciderlo; ma un provvidenziale — o funesto — riconoscimento impedí il fratricidio. Tali gli eventi