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m’appigli, un altro nol consente, e súbito
un nuovo affanno mi distoglie, e mali
fa succedere a mali. Ed or, non posso
cancellar dalla mente il tuo martirio,
cosí ch’io non lo pianga; eppur, la nobile
tua fin, vieta del duolo a me l’eccesso.
Strana cosa non è? Quando una terra
sterile, arrisa è dai favor del cielo,
colma la spiga germina, e la fertile,
defraudata dei favori debiti,
cattivo arreca il frutto, Invece il tristo
fra gli uomini, altro mai non è che tristo,
e il buono buono, e non corrompe l’indole
per le sciagure, e onesto ognor si serba.
E la causa qual n’è? Forse i parenti,
o l’educazion? Questa, se buona,
insegna il bene; e chi conosce il bene,
anche conosce il mal, ché lo misura
col modulo del bene. Ah, ma che invano
saetta l’arco di mia mente!
a Taltibio.
                                                            Or tu
muovi, e agli Argivi imponi ciò: che niuno
tocchi la mia figliuola, e che la folla
tengan lungi da lei. Ché non conosce
freno la turba d’un immenso esercito,
e piú trista del fuoco è la licenza
della gente di mare; e chi non fa
male, è un dappoco.
Taltibio esce.
Ecuba si rivolge ad un’ancella.