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12 | EURIPIDE |
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Un carattere che molto colpisce nel Reso è la ricchezza della materia drammatica. Basta a rilevarla la semplice lettura.
E ad essa corrisponde la moltiplicazione dei personaggi. Il Patin osserva (161-162) che si poteva fare a meno di Enea di Paride ed anche di Minerva. Ed è verissimo. Ma quanto non riesce animata la scena dalla loro presenza!
E questa è, evidentemente, una delle cure dell’autore del Reso: che nessuna parte dell’azione rimanga inerte o sconnessa. Il piú visibile indice di tale cura sembra la maniera ond’è trattata la parte del messo. Negli altri drammi tragici, in genere, rimane in certo modo estraneo ai fatti che narra, è, per dirla con Orazio, una pura e semplice facundia praesens. E, finito il suo racconto, sparisce. Nel Reso, invece, egli è gran parte dei luttuosi eventi che narra. Vi ricevé una gran ferita, è quasi moribondo. Sicché, oltre alla commiserazione reca la viva passione. E dopo il racconto, non solo non parte, ma si impegna con Ettore in una scena che è fra le piú vive e piú appassionate del dramma. E cosí l’attenzione degli spettatori, sino all’arrivo della Musa, è incatenata, non già dai soliti canti corali, ma da un episodio altamente drammatico.
A questa ricchezza di materia e di personaggi, si contrappone la brevità del Reso, che tocca appena i 995 versi. Sicché, di fronte agli altri drammi euripidei, anzi di fronte a tutti gli altri drammi greci, presenta assai piú azione, e meno discorsi. Il che significa che è concepito piú teatralmente. Proprio il contrario di ciò che asseriva Godofredo Hermann, il quale, dal fatto che il Reso si svolge di notte, traeva la conclusione che fosse opera da tavolino, e non destinato alla recitazione. Il Reso ha proprio la stringatezza, l’evidenza, la velocità delle opere concepite e scritte col pensiero continua-