Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
186 | EURIPIDE |
gressi» dell’arte drammatica, ritornò alla antica visione, e la riprese ne Le Tròadi, esprimendola questa volta con semplicità immacolata.
Ma torniamo all’altro elemento, della costruzione. Quasi tutti i critici moderni, lodando l’introduzione dell’episodio di Polidoro, che conferisce al lavoro vera entità di dramma — mentre Le Tròadi sono una semplice sfilata di scene staccate — respingono l’appunto dei critici antichi, i quali condannavano la duplicità del soggetto, osservando che l’unità è costituita da Ecuba, alla cui sensibilità si riferiscono tutti gli episodi.
Eppure, questa volta, gli zelatori dell’unità risicano di non aver tutti i torti.
È un fatto che i due episodii di Polissena e di Polimèstore hanno ben poco a fare l’uno con l’altro; e, per quanto il poeta s’industrii quanto può a trovare legami, l’impressione complessiva è che il dramma sia diviso in due parti distinte.
Ora, né questa duplicità, né qualsiasi molteplicità offenderebbero minimamente in un dramma concepito fin da principio come una successione di liberi episodii, come, appunto, Le Tròadi (dove del resto i varii episodii sono palesemente omogenei, fratelli). Ma qui, evidentissimamente, il dramma vuole essere ad intreccio. E nell’intreccio tutto deve essere disposto e coordinato ad un fine. Nei suoi riguardi, il razionalismo può accampare i diritti che non possiede di fronte alle pure intuizioni artistiche.
E dove impera la logica, se la logica patisce violenza, anche la sensibilità estetica riesce turbata.
È quello che appunto ci avviene leggendo l’Ecuba. Ecco perché non saprei associarmi al giudizio del Patin, il quale, seguito dalla maggior parte dei critici, osserva che «di fronte a Le Tròadi, l’Ecuba presenta un carattere piú elevato, per-