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tu la seguissi: e nulla alla virtú.
Di funi, dici, il corpo tuo stringevi,
per giú calare dalle torri, come
se mal tuo grado tu fra noi restassi.
Ma quando fosti mai trovata, che
lacci appendessi, od affilassi un ferro,
come una donna generosa avrebbe
fatto, per brama del suo primo sposo?
Eppure, quante volte io t’ammonivo:
«O figlia, parti! I miei figliuoli avranno
altre consorti, ed io farò che tu
torni di furto ai legni Achivi: termine
poni alla guerra tra gli Ellèni e noi».
Ma questi detti amari ti sembravano,
ché nella casa d’Alessandro tu
superbire volevi, aver dei barbari
l’omaggio: a cuor ti stava molto. E adesso,
per venir fuori ti sei fatta bella,
e l’aria stessa che il tuo sposo mira,
miri, o donna esecranda! E qui dovresti
venir come pitocca, avvolta in cenci,
tremando a verga a verga, e rasa il capo
come una Scita, ed umiltà mostrare,
non impudenza, pei tuoi falli antichi.
Ora odi, o Menelao, ciò ch’io concludo:
cingi a l’Ellade un serto, Elena uccidi,
e tale norma fissa anche per l’altre
femmine: chi tradí lo sposo, muoia.
corifea
Degli avi tuoi, della tua casa degno
móstrati, Menelao, la sposa uccidi,