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LE TROADI 157

Hai detto — e questa è poi troppo ridicola —
che con mio figlio Cípride alla casa
giunse di Menelao. Ché, non poteva,
tranquilla in cielo rimanendo, te
con tutta Amícla trasportare ad Ilio?
Ma troppo insigne per bellezza fu
mio figlio; e come lo vedesti, Cípride
per te divenne la tua brama. Gli uomini
ad Afrodite tutte quante addossano
le follie proprie; e nelle prime sillabe
del nome della Dea la follia suona.
Come, lucente d’or, nelle sue vesti
barbare t’apparí, folle di brama
tu divenisti, ché vivevi in Argo
povera vita; ma, lasciando Sparta
per la città dei Frigi, ove dell’oro
scorreano i fumi, di guazzar nel fasto
certo credevi. A te, di Menelao
la casa non bastò, per le sfacciate
lascivie tue. Su via, dici che a forza
il mio figliuolo ti rapí. Ma quale
degli Spartani mai t’udí? Qual grido
levasti? Eppure, il giovinetto Castore
viveva ancóra, e il suo gemello: ancóra
non erano fra gli astri. E quando a Troia
giungesti, e sulle tue traccie gli Argivi,
ed era il cozzo di battaglia, quando
a Menelao propizia era la sorte,
tu lo esaltavi, per crucciar mio figlio,
ché un insigne rivale in lui vedesse:
quando i Troiani poi vinceano, nulla
era piú Menelao. Solo badavi
alla fortuna, in guisa tal, che sempre