Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/164


ORESTE 161

le sciagure e la morte d’Agamènnone,
come finí per man della sua sposa.
A me dai flutti Glauco l’annunciò,
dei nocchieri indovino, Iddio veridico,
che l’arte apprese da Nerèo. M’apparve
questo Nume, e mi disse: «O Menelao,
il fratel tuo, nell’ultimo lavacro
caduto giace, che la sua consorte
gli preparava». E assai lagrime fece
a me versare, ai miei nocchieri. Or, quando
giunsi di Nauplia al suol, mentre la sposa
mia qui veniva, ed io credevo al seno
stringere Oreste, il figlio d’Agamènnone,
e la sua madre, avventurati entrambi,
della figlia di Tíndaro l’empissima
morte narrar da un pescatore udii.
Ed or, fanciulle, ditemi dov’è
l’uom che compieva questo scempio orribile,
d’Agamènnone il figlio. Era fanciullo,
di Clitemnestra al seno ancor, quando io
lasciai la casa per andare a Troia:
pur lo vedessi, non potrei conoscerlo.

oreste

Quell’Oreste sono io di cui tu chiedi,
o Menelao: ben volentieri a te
svelo i miei danni, e prima ai tuoi ginocchi,
senza supplici rami, io preci volgo.
In punto sei giunto opportuno. Salvami.

menelao

O Dei che vedo! Qual dei morti è questo?

Euripide - Tragedie, VI - 11