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142 LE TROADI

coro
Siam di sciagura al punto istesso; e conscia
dei miei cordogli il gemer tuo mi rende.
ecuba
Mai non entrai nei fianchi d’una nave,
ma per udita so, dipinto vidi
come i nocchieri, quando affrontar debbono
men tremenda tempesta, ogni lor zelo
impiegano a salvarsi; e al timon questi
corre, e un altro alle vele, e fa riparo
dall’acqua un terzo alla sentina. Ma
quando troppo sconvolto il pelago estua,
s’abbandonano all’impeto dei flutti,
s’affidano alla sorte. Anche io cosí,
da tanti mali oppressa, muta resto,
cedo senza parlar: ché mi soverchia
dei mali il flutto onde gli Dei m’opprimono.
     Ma tu, figlia diletta, al suo destino
Ettore lascia: richiamarlo in vita
non potranno le tue lagrime: onora
il tuo nuovo signore, e la lusinga
cara offri a lui dei tuoi costumi: lieti
con ciò tu renderai tutti gli amici,
e di mio figlio il figlio alleverai,
grande conforto a Troia, ove i suoi figli
d’Ilio possano un dí novellamente
le mura alzare, e la città risorga.
Ma nuova a nuova s’avvicenda. Quale
famulo degli Achei vedo, che nuovi
divisamenti reca, e a noi s’appressa?