quando io dovessi averla vinta, e quando
la vittoria lasciare a lui dovessi.
E questa fama, degli Achivi giunta
all’esercito, me trasse a rovina:
ché, poi che presa io fui, d’Achille il figlio
sposa mi volle avere; e nella casa
degli assassini nostri io sarò schiava.
Or, s’io da me respingo il caro volto
d’Ettore, e schiudo al nuovo sposo l’anima,
trista al defunto sembrerò: se l’odio,
odiata sarò dai miei signori.
Dicono, è vero, che una notte basta
l’odio a placare che una donna nutra
per il letto d’un uom; ma quella femmina
che il primo sposo per un nuovo talamo
repudia, ed ama un altro, io l’aborrisco.
Sin la puledra, dalla sua compagna
separata, a malgrado il giogo soffre;
e un bruto è pur, senza parola od uso
di senno, e inferiore è per natura.
E sposo qual bramavo, Ettore, io t’ebbi,
per nobiltà, per senno, per ricchezza,
per insigne valore. E intatta dalla
casa del padre tu m’avesti, e primo
nel mio virgineo letto entrasti. E adesso
tu sei caduto, ed io, sopra un battello,
tratta a giogo servil sarò ne l’Ellade.
Mal minore non trae seco la morte
di Polissena, che tu piangi? A me
nemmeno resta la speranza, l’ultimo
ben di tutti i mortali; e non m’illudo
d’aver mai bene; eppur, soave è illudersi..