e la città cadere. E le mie figlie
io le crebbi a prescelto onor di sposi,
ma per altri le crebbi; e dalle mani
mi furono strappate; e non ho speme
ch’esse mai piú mi veggano, né ch’io
piú vegga loro. E, culmine di mali
ultimo, schiava andrò, già vecchia, in Ellade.
E le bisogne che meno convengono
alla vecchiaia, a me quelle imporranno:
o rimanere a guardia, io madre d’Ettore,
delle porte ai serrami, o fare il pane,
e al rugoso mio dorso aver giaciglio
la nuda terra, e letti ebbi regali,
e vesti sopra le consunte membra
indossare consunte, e disdicevoli
a chi visse già ricco. Ahi, me tapina,
quante sventure, a causa d’una infida
sposa, già m’ebbi, e quante ancor n’avrò!
O figlia mia, partecipe dell’estro
divin, Cassandra, e tu, per che sciagure
la purità perdesti! E dove sei
tu, Polissena misera? Ahi, né figlio
mi soccorre, né figlia; e tanti n’ebbi,
povera me. Perché mi sollevate
dunque? Per che speranza? Il pie’ che a Troia
incedeva superbo, ora guidate
ove giaciglio avrò di terra, e sassi
per origliere, ch’io vi cada, e muoia,
di lagrime distrutta. Oh, non crediate
felice, innanzi che sia morto, alcuno.
Si accascia di nuovo al suolo.