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LE TROADI 127

trascorsi qui, passare ancor dovranno,
pria che soletto alla sua patria giunga:
non sa lo stretto ove abita Cariddi,
fra le rupi tremenda, e non l’alpestre
d’umane carni vorator Ciclope,
né la ligura Circe, onde sembianza
l’uomo assume di ciacco, e non le navi
frante tra i flutti, né il desio del loto,
né i buoi sacri del Sole, onde le carni
emetteranno un dí voce che amara
suoni ad Ulisse. E ad esser breve, all’Ade
scenderà vivo, e, al pelago sfuggito,
in casa troverà mali infiniti.

Ma perché contro il destino d’Odisseo scaglio i miei dardi?
A uno sposo nell’Averno devo unirmi: or non si tardi.
Sull’esequie tue, che tristo sei, che insigne sembri, o duce
degli Achei sommo, saranno tristi tenebre, e non luce.
Il mio corpo, giú scagliato nei burroni dove piomba
dei torrenti l’acqua, ignudo, del mio sposo sulla tomba,
pasceran le fiere: e famula fui d’Apollo. O dell’Iddio
caro a me su tutti, bende, delle feste infule, addio.
lo le sagre ove incedevo già superba, ecco, abbandono:
da me lungi ite, vi lacero, sinché pura ancora io sono:
alle brezze, che le sperdano, Dio profeta, io le consegno.
In qual nave ho da salire? Del signore dov’è il legno?
Se propizio il vento spira, non tardare, ed apri i lini;
con me tu da questa terra una adduci dell’Eríni.
Madre, salve: e tu non piangere. E tu, padre, e voi, germani
già sepolti, lungo tempo non saremo ancor lontani:
tra i defunti, coronata di vittoria, io verrò presto:
ché il lignaggio avrò distrutto degli Achivi a noi funesto.
Esce con Taltibio e le guardie. Ecuba piomba al suolo.