Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/133

130 EURIPIDE

tatori. Ma poi, tutta la sua monodia è un capolavoro di efficacia grottesca, una olla podrida di battute tragiche, ingenue, comiche, infiorate di sbagliatissime metafore. Per citare la piú marchiana, la bellezza d’Elena è detta «fulgore aligneo augelligènito della venustà della cucciola elenitrista di Leda». Fa pensare a quel commediografo d’Atene, seicentista in anticipo, il quale, a ciò che riferisce il suo collega Antifane, per dire pentola, diceva:

o dagl’impeti del tornio curvicorpo espresso invoglio
modellato nell’argilla cotta in alvo d’altra terra,
che parvenze cutitenere lattipregne in grembo serra
a bollir, di pur mo’ nate greggi.

Soggiungiamo che, per testimonianza degli antichi, questa monodia era un pezzo di bravura musicale. Di bravura grottesca, se dobbiamo giudicare dal ritmo saltabeccante, che, pur cosí scevro di note, riesce sovente a provocare la nostra ilarità.

Ed anche piú buffo ci appare il povero diavolo nella scena che segue, con Oreste.

oreste


Queste grida per chiamare Menelao levavi tu?

frigio


No: chiamavo al tuo soccorso, perché tu vali di piú.

oreste


Giusta morte, dunque, inflitta fu di Tíndaro alla prole?