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ORESTE 123

si ricompongono. E a tanta agitazione e tumulto, segue una visione piena di calma e di grazia.

Per brevi istanti: ché dalla reggia sbucano i due congiurati, come due dragoni dall’antro, e brutalmente ghermiscono e trascinano dentro la povera fanciulla.

Nuova danza, piena di concitazione, di urli, di colpi:

Ahimè, amiche, ahimè, or fate strepito,
strepito ed urla si déstino
dinanzi alla magion, sí che l’eccidio
tremendo, negli Argivi orror non ecciti.

Finita la danza, ecco balzar giú dai triglifi della reggia — in sostanza, giú dal tetto — uno schiavo frigio. Il salto inatteso, il costume barbarico, e certo fastoso e strano, già eccitava la sorpresa e la meraviglia degli spettatori, che si accresceva poi, venandosi d’ilarità, nell’udire la narrazione, in linguaggio grottesco, in ritmi cempennanti, di quello strano sostituto del classico messo.

La scena che segue, fra lui ed Oreste, in tetrametri trocaici, è piena di movimento, o, come ora si direbbe, di dinamismo. Poi, ecco, il coro scioglie arditamente la sua rigida unità, e si risolve nei singoli elementi. Delle donne che lo costituiscono, ciascuna vuol dire la sua. Dai tempi dell’Agamennone, non s’era visto quasi piú.

Ed ecco, dalla reggia incominciano ad alzarsi nugoli di fumo. I congiurati hanno già appiccato l’incendio? — Affatto; e solo assai piú tardi Oreste ne impartisce ad Elettra l’ordine, che d’altronde non trova attuazione. Ma Euripide sapeva bene quale effetto producessero, sull’azzurro cielo dell’Attica, queste fumate; e non se ne lasciava sfuggir l’occasione, fosse pure stiracchiata.

Ed irrompe Menelao, bollente di furore, per vendicare la