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ORESTE 121

deviazione. Il «rimorso d’Oreste» cessa d'essere soggetto del dramma, non determina, per propria virtú ineliminabile, alcuna situazione, non infiamma alcuna passione, non ispira alcun sentimento. Anche se la colpa d’Oreste fosse stata tutt’altra, nulla muterebbero le condizioni e il valore del dramma. Che è il seguente: un uomo cercato a morte dal popolo, ricorre invano all’aiuto d’un parente prossimo e beneficato, che sarebbe in grado di salvarlo. E poiché non giunge a convincerlo con gli argomenti, ricorre ad un’astuzia. E cosí, ecco il complotto, l’intrigo, la mechané, tanto aborrita da Aristofane; la quale, a un certo punto, seduce la immaginazione del poeta, e, insinuatasi nel dramma come mezzo, diventa ben presto fine a sé stessa, e soggetto principale, soppiantando interamente il dato mitico e la primitiva alta original concezione. Currente rota urceus exit. Alla prima parte, cosí vigorosamente e originalmente concepita, segue uno sviluppo non attinto alle viscere del soggetto, e perciò ascitizio, parassitario. Qui, come altrove, il poeta fa malo uso, sperpera leggermente la libertà conquistata con tanta fatica.

Se, ad ogni modo, veniamo ad esaminare questa mechané, vediamo che dal lato del contenuto non appare poi felicissima. L’invenzione che Elena fosse uccisa da Oreste ed Elettra, sembra troppo arbitraria. E, d’altra parte, bisogna osservare che, per quanto Pilade si sforzi di accrescere il biasimo, senza dubbio ben meritato, della donna fatale, pure, il fatto che ella è uccisa a tradimento, e da chi invoca la sua pietà, non può non gittare un’ombra sinistra sugli autori dello scempio.

E peggio è per Ermione. La povera fanciulla, che, pienamente innocente ed ignara, si gitta da sé nella rete dell’insidia, quando apprende che Elettra ed Oreste sono stati condannati a morte, esclama:

Deh, mai non sia, ché siete a me parenti!