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Quando Menelao, reduce ad Argo, vede Oreste nel miserrimo stato a cui l’ha ridotto il delirio, gli chiede:

Che soffri tu? Qual morbo ti distrugge?

E Oreste risponde:

La coscïenza: io so che orror compiei.

In queste parole c’è tutta la concezione dell’Oreste, quale balenò in origine alla mente di Euripide, c’è tutta la sua nuova interpretazione del mito antichissimo. La posizione di questo dramma di fronte alle Eumènidi è rilevata dal Patin con parole tanto felici, che giova tradurle senz’altro:

«La guerra impegnata, pel delitto compiuto da un mortale, fra le potenze del cielo (Apollo) e dell’inferno (Furie), qui non ha piú altri attori se non le passioni, altra scena se non il cuore del colpevole. Le Furie non appaiono piú se non alla sua turbata immaginazione: in vece loro, abbiamo lo spettacolo piú reale della coscienza, che, in un dubbio penoso, assale a volta a volta, ed accusa sé stessa, e riconosce, disperata, esterrefatta, a che punto l’ha condotta un falso miraggio di pietà e di giustizia: che per le torture a cui si trova