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Appare improvvisamente, invisibile per Ecuba,
il Dio Posídone.


posidone
Qui giunsi dell’Egèo dai salsi baratri,
dove, danzando, le Nerèidi volgono
il bellissimo piede: io son Posidone.
Poiché, da quando Febo ed io le pietre
levammo a fil di squadra, onde le torri
sursero, in questo suolo, a Troia intorno,
mai dal cuor mio l’amor non fu bandito
per la città dei Frigi. Essa conversa
in fumo è adesso: ché le argive cuspidi
l’hanno distrutta e saccheggiata. Epèo
di Parnasso, il focese, costruí,
per consiglio d’Atena, un gran cavallo,
pieno i fianchi d’armati, e lo sospinse,
simulacro funesto, entro le torri.
Da le genti venture, esso cavallo
sarà detto di legno: ché di lancie
legno chiudea nei fianchi. I boschi sacri
fatti or deserti, e i templi dei Celesti
corron di sangue: dall’altar di Giove