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IFIGENIA IN AULIDE 89

con acutezza che egli reputi non comune, non resiste alla tentazione di riprodurla, massime se può includervi qualche sua osservazione analitica e critica, che costringa chi lo ascolta ad esclamare: come è vero!

E cosí, spesso descrive e ricorda inezie davvero indegne, non dico dell’altezza, ma pure della passione tragica: tale il ricordo delle infinite chiacchiere dell’esercito acheo all’arrivo delle due regine.

E peggio quando cade in vere e proprie divagazioni. Impareggiabile la pittura che Menelao fa di Agamennone in cerca di voti, e prima e dopo l’elezione. Ma tutti sentiamo, e piú dovettero sentire gli Ateniesi, che è presa pari pari, e con fedeltà e acume mirabili, dalla vita politica d’Atene del V° secolo. E poi, a parte l’anacronismo, è fuori di posto, e, in ogni caso, eccessivamente lunga.

Ed anche in questo dramma l’osservazione troppo insistente dell’animo umano gli ispira osservazioni che, a furia d’acutezza, finiscono per allontanarsi dalla verità. Cosí Achille confessa che difende Ifigenia piú per puntiglio, per l’offesa fatta al suo amor proprio, che non per pietà e per ribellione all’odioso responso che condanna la fanciulla all’atrocissima morte.

Un grave torto a me fece Agamennone.
A me chieder doveva il nome mio,
per adescar la figlia; e Clitemnestra
meglio da me sarebbe stata indotta
a cedere la figlia. Ed io concesso
agli Ellèni l’avrei, se non concederlo
contesa avesse la partenza......

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I duci in nessun conto ora mi tengono:

bene trattarmi, o male, è ugual per essi.
Ma ragione farà presto la spada.