ebbi tal nimistà, quando convinto
fui che affrontar dovevo un tal cimento,
mille cordogli a escogitar mi diedi,
molti la mente mia ne partorí,
consigliera la notte ognor prendendo,
perché, perseguitando e sterminando
i miei nemici, non dovessi in casa
piú vedermi il terror, bene sapendo
che non era un da nulla il tuo figliuolo:
era un uomo — se pur mi fu nemico,
sempre lo esalterò, ch’egli era un prode.
E poi ch’egli fu morto, io, che odïato
ero dai figli, e ben sentia la loro
d’inimicizia eredità, cercare
la loro morte non dovea, bandirli,
tramare insidie, e terra e ciel sconvolgere?
Sol facendo cosí, la sicurezza
acquistare potevo. Or dimmi tu,
se fossi stata in me, con ogni male
perseguitati non avresti i figli
d’un infesto leone, anzi li avresti
lasciati in Argo vivere tranquilli?
Niuno convincer ne potresti. E adesso,
poi che ucciso non m’han quando la morte
io m’aspettavo, per le leggi d’Ellade
chi m’uccide sarà contaminato.
E mi risparmia la città, che piú
che alla mia nimistà, bada all’ossequio
dovuto ai Numi; e si dimostra saggia.
Or m’hai parlato, udito m’hai, chiamarmi
puoi coraggioso oppur codardo: è tale
l’animo mio: morire non desidero,
né pur mi cruccia abbandonar la vita.