gli spalti, e prigioniera io fui condotta,
fra lance e remi, all’inimica flotta.
Questo barbaro suol, poi, da un acervo
d’oro comprata, m’ebbe: ivi la figlia
d’Agamènnone servo,
ministra della vergine
Diva che i cervi stermina,
dell’are ove non sono agni le vittime.
Di chi sempre fra pene
la sua vita passò, la sorte invidio:
senza fiaccarsi il peso ei ne sostiene.
È tramutar sciagura:
a chi miseria prova, dopo il prospero
stato, la vita è dura.
Strofe II
Te beata! Alla patria
d’un legno acheo t’adducono i cinquanta
remi. Il cerato calamo29
di Pan montano sufola
l’abbrívo al corso; e canta
il vate Febo, e l’accompagna il sònito
di sua lira, con sette
fila: addurti con prospero
corso d’Atene al pingue suol promette.
Te lungi adduce il remo,
e noi qui resteremo:
agli aliti dell’ètere,
traggon le vele, gonfie insino a prora,
sul bompresso, le gómene
dell’agil nave che la via divora.