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258 EURIPIDE

dei guai della tua casa, ucciso io t’ho,
tramato ho contro te, per cupidigia
del regno tuo: ché della tua sorella
che ne sarebbe erede io sono sposo.
Questo io pavento, e n’ho vergogna; e modo
non c’è ch’io teco non soccomba, sopra
l’ara sgozzato, e dato il corpo al fuoco,
quando amico ti sono, e temo il biasimo.

oreste

Piú non dire: patir debbo i miei mali;
ma portare due pesi, allor che posso
portarne un solo, no. L’onta ed il biasimo
di cui tu parli, sopra me cadrebbero,
se te morir lasciassi, che partecipe
fosti delle mie pene. E troppo male
non è per me, quando gli Dei mi crucciano,
come tu vedi, abbandonar la vita.
Tu sei felice, invece, è la tua casa
pura, non è contaminata; ed io
sono macchiato ed infelice. Sàlvati.
I figliuoli che avrai dalla sorella
mia, che sposa ti diedi, il nome mio
faran che viva; e non sarà di pargoli
deserta mai dei padri miei la casa.
Su, fuggi, vivi, la casa del padre
mio, sia tua casa. E allor che giunga in Ellade
ed in Argo l’equestre, io ti scongiuro
per la tua destra, innalzami un sepolcro,
poni sovr’esso un monumento; e chiome
doni alla tomba la sorella, e lagrime.