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Siamo appieno nel contrasto estetico che mortifica cosí profondamente il melodramma moderno, nel quale si vedono musicati anche i minori e i minimi frammenti di entità logica e magari pratica. Su questo punto, la critica d’Aristofane picchiava a ragione.

E si aggiunga che la musica della Ifigenia in Tauride era proprio di quella che dava tanto ai nervi al commediografo. Un po’ perché, come si ricava da alcune espressioni dello stesso coro, era scritta in toni asiatici:

i cantici alterni,
la barbarica voce degl’inni
asïatici intono a risponderti;

un po’, perché, a parte il tòno, era ricca di quei melismi che tanto contraddicevano all’austera semplicità della musica dorica. Se nel testo non abbiamo piú visibili tracce di veri e proprii gorgheggi, abbiamo però un frequente numero di parole ripetute: per esempio: ἒ ἔ, ἐν κηδείοις (147), οἵαν οἵαν (150), ὀλόμαν ὀλομαν (153), οἴμοι μοι (154), φεῦ φεῦo (155), ἰὼ ἰὼ δαίμων (156), κυάνεαι κυάνεαι (392), ἔβασαν ἔβασαν (402). Indizi sicurissimi che spesso il canto riusciva a soverchiar la parola.

Tralascio di enumerare i soliti euripidismi, che il lettore esperto rileverà oramai senza guida.

Voglio solo richiamar l’attenzione su Toante; concepito e presentato in forma di perfetto babbeo, personaggio oramai comico, e non tragico. Da commedia sono, per esempio, le battute: