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IFIGENIA IN TAURIDE 203


sfuggire. E immaginò che l’idolo fosse stato portato appunto da Ifigenia.

Ma come la fanciulla era tornata in patria? E perché aveva preso con sé l’idolo? Ecco quasi designato l’intervento di Oreste, che prende naturalmente il posto dell’eroe e salvatore, che nel drammetto popolare sarà stato di sicuro innamorato e non già fratello.

Del resto, l’impulso a concepir questo dramma, e alcuni dei colori che poi servirono per la pittura della Tauride poterono essere ispirati al poeta dalle letture di Erodoto, che egli, poco piú che trentenne, avrà certo udite in Atene. «I Tauri, leggiamo anche oggi nel coloritissimo storico, sacrificano ad una vergine i naufraghi e quanti dei Greci giungono per mare alle loro terre. E la dimonia alla quale sacrificano queste vittime dicono che è Ifigenia, la figlia di Agamennone» (IV, 103). C’è, in germe, tutta l’Ifigenia in Tauride.

Cosí nella tragedia attica, sacra finora ai miti propriamente ellenici — diciamoli classici — , fa il suo ingresso, sia pure di straforo, I’elemento romanzesco, orientale, che poi, attraverso l’elegia, doveva dilagare in tutta la letteratura greca, sino a stemperarla, e, infine, a distruggerla. Qui la prima volta. Poiché le altre due tragedie di Euripide d’argomento romanzesco, l’Elena e lo Ione, sembrano di certo piú recenti. Mancano notizie obiettive. Ma i critici, e, con piú precisione ed acutezza i signori Parmentier e Gregoire1, hanno da tempo messi in rilievo gli indici, e alcuni quasi obiettivi, dai quali sembra si possa raccogliere che l’intreccio dell’Ifigenia in Tauride è stato congegnato prima di quello dell’Elena, e gli

  1. Edizione de Les belles Lettres. pag. 100 sg.