Entra un araldo.
araldo
Agamènnone, re di tutti gli Èlleni,
eccomi qui, la figlia tua conduco,
a cui d’Ifigenía tu desti il nome.
E Clitemnèstra seco vien, la madre
sua, la tua sposa, e il pargoletto Oreste:
sí, che goder potrai, poi che da tanto
da casa lungi sei, del loro aspetto.
Ma poi che lunga fu la via, vicino
a una limpida fonte ora al femineo
piè dan ristoro; e seco le puledre,
che fra l’erba d’un prato abbiam lasciate
a pascolare. Ed io son corso qui,
perché tu possa degnamente accoglierle.
Ché la fama è già corsa, e già l’esercito
sa che tua figlia è giunta, e a corsa muovono
tutte le turbe per vederla: tutto
si sa sempre dei grandi, esposti sempre
sono agli occhi di tutti. Ed uno dice:
«Di che si tratterà? D’un matrimonio?
O di che altro? Oppur per desiderio
della sua figlia, ha qui fatto Agamènnone
venire Ifigenía?» Risponde un altro:
«Vogliono all’ara presentar d’Artèmide
la giovinetta, alla Signora d’Àulide.
Chi mai la sposerà?» — Su via, per questa
cerimonia i canestri or tu prepara,
le fronti vostre coronate, e tu,
re Menelào, prepara l’imenèo,
e il flauto squilli e i piè danzino: tale
per la fanciulla fausta luce brilla.