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IFIGENIA IN AULIDE 115


agamennone

Parli ben, ma trista cosa par l’arguzia dei ribaldi.

menelao

Cosa iniqua per gli amici sono i cuor chiusi e non saldi.
Ora in fallo io ti vo’ cogliere, e non sia che l’ira trista
repudiar ti faccia il vero; né sarà ch’io troppo insista.
Tu brigasti un dí, per essere duce in Ilio degli Achivi,
rifiutando in apparenza, ma nel cuor, ben sai, l’ambivi;
tu, ricordi, eri dimesso, tu stringevi a ognun la mano,
le tue porte eran dischiuse sempre ad ogni popolano,
e licenza davi a tutti di parlar, perfino a chi
non ne aveva voglia, i voti guadagnandoti cosí,
coi tuoi modi. Ma ben presto, come poi tu fosti in cima,
li cambiasti, e con gli amici piú non fosti quel di prima:
fu difficile accostarti, spesso chiuse le tue porte.
Pur, non deve un galantuomo, quando ride a lui la sorte,
mutar faccia: anzi, agli amici, tanto piú, se in luogo è giunto,
dove possa, dare aiuto deve. È questo il primo punto
che ho toccato, perché prima qui scoprii ch’eri dei tristi.
Quando ad Àulide, e all’esercito degli Ellèni poi venisti,
nulla tu valevi: l’ira ti colpiva degli Dei,
né soffiava il vento prospero. Pur, volevano gli Achei
che quel vano indugio d’Aulide si troncasse, e si salpasse.
Come allora eri sconvolto, come andavi a ciglia basse,
ché di Priamo la terra, pur guidando mille navi,
non potevi empir d’armati. Meco allor ti consultavi,
«Che farò? Devo esser privo del comando? Andrà smarrita
la mia fama gloriosa? Sono a un passo senza uscita».
Quando poi Calcante l’augure profetò che convenia
ad Artèmide immolare la tua figlia Ifigenía,