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LE SUPPLICI 57

detti Creonte replicò, ma stette
muto, chiuso nell’armi. Incominciarono
la zuffa i guidator’ delle quadrighe.
Spingono i carri, le due file passano
una oltre l’altra, e i combattenti posano,
che s’incontrino, a terra: i ferri incrociano
questi, e gli aurighi presso a loro spingono
nuovamente i puledri, alla battaglia.
Forbante allor, che ai cavalieri d’Attica
era preposto, e quelli che guidavano
lo stuol di Cadmo equestre, appena videro
il tumulto dei carri, s’impegnarono
nella battaglia anch’essi, or vincitori
ed ora vinti. Ed io tutto vedevo,
udivo tutto: ch’ero presso dove
s’azzuffavano i carri e i duci loro.
Ma degli orrori molti ch’io là scorsi,
non so qual prima io debba dire. Forse
la polvere, che al cielo in fitti vortici
si sollevava? O i corpi nelle redini
avvincigliati, e tratti qua e là,
e i rivoli del sangue, e chi cadeva,
e chi piombava, franto il carro, a guisa
di palombaro, con la testa in giú
al suol, con urto vïolento, e qui
fra i rottami del carro uscia di vita?
Come Creonte i cavalier’ d’Atene
prevaler vide, lo scudo imbracciò,
e alla pugna balzò, pria che languisse
il coraggio nei suoi. Né, d’altra parte,
nell’inerzia poltrí Tesèo, ma súbito,
strette l’armi lucenti, s’avventò.
Ed era un cozzo sol tutto l’esercito,