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Alle Muse la pace è dilettissima,
odïosa alle Furie; e l’opulenza
ama, e i pargoli belli; e noi gettiamo
tal bene, o stolti, e la ragion del forte
e la guerra eleggiamo, onde asserviti
son lo stato allo stato, e l’uomo all’uomo.
Ora i nemici spenti, a cui die’ morte
la tracotanza, tu soccorri, e vuoi
ch’abbian riscatto e sepoltura. E dunque,
giusto non fu che Capanèo, dal folgore
arso, piombasse, ei che, la scala ai muri
appoggiando, giurò che presa avrebbe
Tebe, volesse o non volesse il Nume?
E non rapí, schiuso improvviso, il bàratro,
il vate degli augelli4, e la voragine
non inghiottí la sua quadriga? E giacciono
presso alle porte gli altri duci, l’ossa
alle giunture han dai macigni infrante.
Or, di Giove piú saggio esser presumi,
dunque, o ammetti che i Numi a buon diritto
sterminano i malvagi. Un uom di senno
amare deve prima i figli, poi
i genitori, e poi la patria, e fare
che prosperi, e non già che sia distrutta.
Ben poco affida temerario duce,
temerario nocchiero; e saggio è l’uomo
che sa, quando bisogna, esser tranquillo.
E per me, la prudenza è pur coraggio.
coro
Bastò che Giove li punisse: offenderli
di tanta offesa, a noi mal si conviene.