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IPPOLITO 285

Sono morto, o infelice! Ahimè, ahi!
Entro il capo le doglie mi vibrano,
nel cervello sobbalza lo spasimo.
Sta! Ché il corpo sfinito abbia requie!
Ahi, ahi!
O coppia odïosa
di corsieri, ch’io stesso nutrii
di mia mano, per te son disfatto,
per te sono morto.
Ahi, ahi! Per i Numi, o famigli,
con man lieve toccate il mio corpo,
ch’è tutto una piaga. Chi sta
a destra, al mio fianco? Levatemi
leggermente, con mosse concordi
traetemi. Oh me sventurato,
maledetto dal labbro del padre!
Giove, Giove, non vedi? Io, che puro
sempre fui, che gli Dei veneravo,
che tutti avanzavo
d’onestà, vedo l’Ade che a me
sotterraneo si schiude, e soccombo.
Invano fu spesa fra gli uomini
la mia pietà.
Ahimè, ahimè!
Ed or mi pervade lo spasimo,
lo spasimo. Oh me sciagurato!
Lasciatemi; e Tànato giunga
per me, giunga Peóne. Finitemi,
uccidetemi, misero me!
Il duplice taglio desidero
d’una spada, che a brani mi faccia,
che il mio viver sopisca. O del padre
miserevoli voti, e dei miei