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ed anche questo ha il suo valor: ché quanti
hanno fra i saggi minor pregio, eccellono
a parlar fra le turbe. Eppure, è forza,
quando sopravvenuta è la sciagura,
ch’io la mia lingua sciolga. E il mio discorso
comincerà dal punto ove, assalendomi,
distruggermi credesti, e ch’io risponderti
piú non potessi. Questa luce vedi,
e questa terra: or, quivi uomo non è
piú assennato di me. Ché, prima i Numi
so venerare, e con amici pratico
che non cercano il male, e non dimandano
disonesti favori, e non li accordano:
ne avrebbero vergogna. E non costumo
deridere gli amici, e son lo stesso
dietro le spalle, e innanzi a loro. E puro
son d’una pecca onde tu pensi avermi
convinto reo: del genïale talamo,
insino a questo dí, puro è il mio corpo;
né l’atto so qual sia, tranne perché
ne udii parlare, oppur pinto lo vidi,
né d’indagarlo brama ho, poiché vergine
l’anima serbo. Ma convinto forse
tu della mia virtú non sei. Bisogna
cercare allora la ragion per cui
sarei stato corrotto. Era costei
di quante donne son, forse piú bella?
O sposare sperai l’ereditiera,
ed essere signor della tua casa?
Stolto sarei davvero, e non padrone
del senno mio. Piacer forse potrebbe
agli assennati esser sovrani? Può