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IPPOLITO 249


fedra
alla nutrice.

O trista fra le tristi, o degli amici
sterminatrice, che m’hai fatto? Un folgore
t’avventi Giove, il mio parente, e in polvere
ti strugga. Preveduto il tuo disegno
io non avevo, non t’avevo detto
di tacere il segreto ond’ora io muoio?
Ma tu non ti frenasti; e senz’onore
ora morrò. Ma concepire devo
nuovi disegni: ché costui, con l’animo
dall’ira inacerbito, svelerà
al padre, in odio a me, l’astuzia tua,
al vecchio Pítteo svelerà gli eventi,
ed empierà di vergognose ciance
tutta la terra. A te la morte, e a chi,
per eccesso di zel, reca agli amici
recalcitranti un disonesto aiuto.

nutrice

Regina, a buon diritto il danno biasimi
ch’io ti recai: ché il duolo onde sei morsa
la ragione t’offusca. Eppure, anch’io,
se lo concedi, replicar potrei.
Io t’ho cresciuta, a te sono devota;
e pel tuo morbo un farmaco cercando,
quello trovai che non bramavo. Se
m’avesse arriso l’esito, fra i saggi
sarei cantata: ché secondo il volgere
degli eventi, si piega il nostro spirito.