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fedra

O tapina, che ho fatto? Lontano
dal senno, ove mai
sviata mi sono? Io son folle,
son preda al castigo d’un Dèmone.
Ahimè, me tapina! Il mio capo
di nuovo, o nutrice, nascondi.
Mi vergogno di quello che ho detto:
nascondimi: rompono lagrime
dal mio ciglio, ed a scorno si volge
l’occhio mio: ché tornare a ragione
m’addolora. Un gran male è follia:
pur, meglio è morir, senza avere
del mal coscïenza.

nutrice

Ti cuopro. Ma quando la morte
coprirà le mie membra? Assai cose
il vivere lungo c’insegna.
Oh, quanto conviene che gli uomini
amicizie sol tepide intreccino
l’un con l’altro, e non tali che giungano
al midollo dell’alma. Gli affetti
del cuore, tali esser dovrebbero
che ognor si potessero
rallentare, serrare, disciogliere.
Ma se deve patire per due
sola un anima, come io patisco
per costei, troppo grave è il tormento.
Nella vita, lo zelo eccessivo
nuoce, dicono, piú che non giovi,