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IPPOLITO 217

badavi a ripetermi,
ch’io qui t’adducessi. E fra poco
tornar nelle stanze vorrai:
ché presto ti stanchi, e di nulla
t’allegri: ché quanto possiedi
non ti piace, e migliori ti sembrano
le cose lontane.
Meglio esser malati, che cura
aver di malati:
il malato, patisce soltanto:
chi lo cura, patisce e fatica.
È tutta un affanno la vita
degli uomini; e mai non ha requie
dalle pene; ma, pur se v’ha stato
della vita piú dolce, la tenebra
fra sue nubi l’asconde; e ardentissimo
amore ci vince di ciò
che brilla sovressa la terra,
perché sperïenza
non abbiam d’una vita futura,
né di quanto sotterra ci attende;
ma di vane parole siam preda.

fedra

La persona reggetemi, il capo,
amiche, reggetemi: tutte
mi sento mancar le giunture.
Le mie belle mani prendete,
ancelle: del capo la benda
sostenere m’è grave: toglietela:
lasciate che i riccioli
m’ondeggino sopra le spalle.