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Prima di questo Ippolito, distinto con l’epiteto di portator di corona (rappresentato nel 428), Euripide aveva scritto e fatto rappresentare un Ippolito velato, che però non riscosse l’approvazione degli spettatori ateniesi, sembra per una sua presunta immoralità. A noi non è pervenuto; ma da testimonianze antiche risulta che in esso Fedra non poneva freno alla sua passione, anzi ci si abbandonava senza ritegno; e alle sue offerte spudorate, il giovinetto si copriva il viso, inorridito: onde il titolo.

I pochi frammenti superstiti — due specialmente, nei quali Fedra esalta la potenza del Dio d’amore, e si dichiara sicura del suo appoggio, — confermano le notizie indirette; ma non ci consentono di ricostruire in maniera un po’ ampia e precisa l’andamento del dramma. Però, secondo ogni verisimiglianza, possiamo farcene un’idea leggendo la Fedra di Seneca. Questa tragedia arieggia molto l’Ippolito portator di corona, e nella linea generale, e anche in molti particolari (p. e. l’azione si apre con una scena di caccia: Fedra nel delirio immagina di errar nelle selve in traccia di fiere: il racconto della morte d’Ippolito è una variazione del racconto euripideo); e, a guardar bene, sembra un rifacimento della tragedia d’Euripide, fatto in maniera da lasciar dominare il