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ERCOLE 187

sarà per te la vita; eppure, aiutami
a sopportare i miei tormenti, e vivi.
V’uccise, o figli, il padre vostro, quello
che vi die’ vita; e non cogliete il frutto
delle fatiche mie, la fama ch’io
procacciarvi cercavo, il piú bel dono
d’un padre ai figli. E tristi grazie resi,
misera, a te, che il letto mio serbasti
immacolato ognor, badando all’opere.
Ahimè, sposa, ahimè, figli, ahi, me tapino,
quanto misero io sono! E separarmi
debbo dai figli e dalla sposa. Ahi, lugubre
gioia di questi abbracci! Oh, per me lugubre
compagnia di quest’armi! In dubbio io sono
se conservarle debbo, oppur lasciarle:
ch’esse, battendo al fianco mio, diranno:
«Uccidesti con noi figliuoli e sposa:
l’assassino dei figli in noi tu serbi?»
Ed io le porterò su le mie spalle?
E perché mai? — Ma, pur dell’armi privo,
onde le glorie mie compiei ne l’Ellade,
datomi in preda ai miei nemici, morte
d’obbrobrio troverò. No, non le devo
lasciare, anzi serbarle, anche se soffro.
In una cosa assistimi, Tesèo.
Vieni in Argo con me, del can d’Averno
con me fissa il compenso, affin che il cruccio
non mi spinga dei figli a qualche eccesso.
O suol di Cadmo, o popolo di Tebe,
tutti le chiome recidete, il lutto
prendete tutti, al tumulo dei figli
movete, e tutti ad una voce, i morti