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ERCOLE 169


ercole
Si riscuote dal letargo a poco a poco.
Ahimè!
Traggo il respiro, e quello scorgo ch’io
scorgere devo, l’ètere, e la terra,
e questo arco del sol. Come in un vortice
ero piombato, in un tumulto orribile
del mio spirito; e ardente esce l’anelito
dal mio polmone, ed incomposto e greve.
Oh, ma perché di lacci stretto il giovine
petto e le braccia, io qui mi trovo, come
nave all’ormeggio, ad un troncone avvinto
di marmorea colonna? E a terra sparsi
gli alati dardi, e l’arco, onde alleanza
ebbe il mio braccio, ed essi proteggevano
il mio fianco, ed io loro? All’Ade forse
sono disceso ancor? Tornato appena,
per Euristèo di nuovo ho l’altro braccio
dello stadio percorso? Eppur, di Sísifo
la rupe non è qui, non della figlia
di Demètra lo scettro, e non Plutone.
Stupor m’invade. Dove son? L’ignoro.
Ehi, nessun degli amici, o presso o lungi,
non c è, che sperda questo mio stupore?
Ché nulla io vedo qui che a me sia noto.
anfitrione
Alla sciagura mia, vecchi m’appresso?
coro
Ed io con te: nel mal non t’abbandono.