contro Euristèo ruggendo, eccolo giunto —
diceva egli — a Micene. E allora, il padre
toccò la sua mano possente, e disse:
«Figlio, che fai? Che turbamento è questo?
Dei tuoi nemici la recente strage
ti fa deliro?» Ed ei crede che il padre
sia d’Euristèo, che, per timore supplice,
s’afferri alla sua man, via lo respinge,
e l’arco appresta e la faretra contro
i figli suoi, pensando di trafiggere
i figli d’Euristèo. Per lo spavento
tremando, quelli qua e là si sbandano,
al peplo un d’essi della madre, l’altro
d’un pilastro al riparo; e a pie’ dell’ara,
al par d’uccello, s’accovaccia il terzo.
E la madre gridò: «Padre, che fai?
Uccidi i figli?» E grida il vecchio, e gridano
tutti i famigli. Attorno alla colonna
quello persegue il figlio; e ad un’infausta
svolta del piede, se lo trova innanzi
a faccia a faccia, e lo colpisce al fegato.
Cade quegli supino, e l’alma spira,
e spruzza il sangue sul marmoreo zoccolo.
Ed ei tal vanto, con un grido innalza:
«E uno! Spento è per mia mano questo
figliuolo d’Euristèo: pagò la pena
della paterna nimistà». Su l’altro
tese poi l’arco, che dell’ara ai piedi
accovacciato s’era, e che sperava
qui rimaner nascosto. Ed il tapino
prevenne il colpo, e ai ginocchi del padre
corse, e le mani al mento e al collo tese.
«O padre mio — gli dice — o dilettissimo,