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e le orribili pupille volge muto, in pronte ruote,
né piú modera l’anelito, sembra toro inferocito,
e dal Tartaro le Parche, con orribile muggito
chiama. A danza piú selvaggia, d’un mio flauto coi deliri,
vo’ spronarti. Col pie’ rapido tu all’Olimpo affrettati, Iri.
Io d’Alcide inoltro il piede — nella casa, e non mi vede.
Entra nella reggia. Iri sparisce.
coro
Deh gemi, gemi! Reciso il tuo fiore,
o Tebe, cade, di Giove la prole,
Ellade, misera! Il tuo difensore
tu perdi, perdi: lo spinge la Furia
con i suoi flauti a dementi carole.

Balzò sopra il plaustro, il pungolo,
a scorno, dal cocchio
vibrando, la Gòrgone
attrice di lamenti,
della notte la figlia, dall’occhio
che impietra, la Furia
chiomata dal sibilo
di cento serpenti.
Ben presto è il bene mutato in affanno;
per man del padre i figliuoli morranno.